mercoledì 15 aprile 2009

Una voce da Guantanamo.



LA DENUNCIA per via telefonica degli abusi subiti in carcere è arrivata assolutamente a sorpresa. Mohammad el Gharani, detenuto nella blindatissima Guantanamo, aveva avuto il permesso di telefonare ad uno zio. Invece ha composto il prefisso del Qatar e si è messo in comunicazione con l'emittente tv Al Jazeera, cui ha raccontato, durante un'intervista improvvisata, di essere stato picchiato e di aver subito numerosi abusi nel carcere americano di massima sicurezza sull'isola caraibica voluto da George W. Bush per i presunti terroristi, che Barack Obama ha promesso di chiudere entro l'anno. E' la prima intervista con un prigioniero dietro le sbarre di Guantanamo, struttura che i giornalisti possono visitare solo se si impegnano, firmando un documento, a non parlare con nessuno dei detenuti. Sul sito in inglese di Al Jazeera è disponibile una trascrizione del colloquio registrato. L'uomo, un giovane del Ciad, ha detto di esser stato rinchiuso a Guantanamo da quando aveva 14 anni. Gharani ha oggi 21 anni: un giudice distrettuale americano ne ha ordinato il rilascio in gennaio. Ha detto di esser stato picchiato nei sette anni della sua detenzione e che un gruppo di sei soldati americani gli hanno sparato addosso gas lacrimogeni una volta che si era rifiutato di lasciare la cella. "Questo trattamento è cominciato 20 giorni prima che il presidente Barack Obama si insediasse e da allora è proseguito quasi ogni giorno", ha detto il giovane ad Al Jazeera.
"Da quando Obama è diventato presidente, non ci ha dimostrato che qualcosa cambierà", ha detto ancora Gharani. Trasferito nei mesi scorsi in una delle aree della prigione destinate ai detenuti in attesa di rilascio, ottenuto il permesso di fare una telefonata, invece del parente ha chiamato un cameraman della tv di Doha, Sami al-Hajj, che a Guantanamo è stato rinchiuso per sei anni. A lui ha spiegato il suo rifiuto di lasciare la cella perché "non venivano garantiti i miei diritti", come quello di interagire con altri detenuti e di avere "cibo normale". Da qui la reazione violenta dei sei soldati, che hanno iniziato a picchiarlo con "con bastoni di plastica, svuotando due bombolette di gas lacrimogeni". Gharani ha raccontato che gli hanno sbattuto la testa contro il pavimento e gli hanno rotto un dente. "Quando ho iniziato a urlare verso il superiore, dicendo 'guarda cosa stanno facendo', lui ha iniziato a ridere e ha risposto, 'stanno facendo il loro lavoro'", ha detto ancora.

martedì 14 aprile 2009

Domiciliari alla pentita delle BR



Cinzia Banelli, la prima pentita delle nuove Brigate rosse, potrà lasciare il carcere di Sollicciano a Firenze. Alla ex "compagna So", condannata per l'omicidio del professor Massimo D'Antona a 12 anni di reclusione, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha concesso gli arresti domiciliari. Parere favorevole era stato espresso sia dalla procura della capitale che quella di Bologna. Banelli, 45 anni, fruiva già del programma di protezione, ma era rimasta nel carcere fiorentino in attesa del parere della Sorveglianza. L'ex brigatista ha una casa a Vecchiano, in provincia di Pisa, dove vivono il marito e il figlio di cinque anni. Ma, in base a quanto previsto dal Viminale per i collaboratori di giustizia, sarà trasferita in una località segreta insieme alla sua famiglia. Inoltre le sarà assegnata una nuova identità e le sarà riconosciuto un sussidio. L'ex "compagna So" è detenuta a Sollicciano dal dicembre del 2006, da quando era diventata esecutiva la condanna per l'omicidio D'Antona. Una prima richiesta per i domiciliari era stata respinta dalla Sorveglianza di Roma il 24 gennaio dello scorso anno perché secondo i magistrati Banelli avrebbe dovuto fruire di una serie di permessi e poi si sarebbero potute fare delle valutazioni. Da allora l'ex terrorista ha lasciato il carcere una volta al mese per raggiungere la famiglia. Ex dipendente ospedaliera a Pisa, Banelli era stata arrestata il 24 ottobre del 2003 in seguito agli sviluppi delle indagini dopo l'arresto di Nadia Desdemona Lioce, la brigatista che sta scontando due ergastoli per gli omicidi Biagi e D'Antona. Nell'estate 2004, dopo aver partorito un figlio durante la detenzione, aveva cominciato a collaborare con gli inquirenti, diventando la prima pentita delle nuove Br. Decisiva era stata la rivelazione delle password che consentirono agli investigatori di decrittare l'archivio delle Brigate rosse. Era stata coinvolta anche nell'inchiesta per l'omicidio del professor Marco Biagi. In appello a Bologna era stata condannata a 15 anni e quattro mesi di reclusione, sentenza annullata dalla Cassazione perché non le era stata riconosciuta l'attenuante speciale della collaborazione. Il 12 marzo del 2008 in un nuovo processo a Bologna era stata condannata a dieci anni e cinque mesi e le era stata riconosciuta l'attenuante. A oggi ha scontato oltre un quarto della pena.
Sia la decisione del ministero dell'Interno di concederle il programma di protezione due anni fa (all'epoca del governo Prodi, sottosegretario Marco Minniti) sia quella giudiziaria conclusasi oggi con la concessione dei domiciliari chiudono una vicenda che andava avanti da anni. Per due volte, con il governo di centrodestra, la richiesta del programma di protezione avanzata dalle Procure di Roma e Bologna era stata respinta.

Rapporto_11_04_2009

Appuntamento ore 8:30 nei pressi della cornetteria di Torre Spaccata: destinazione Camp Barberini. Arrivo alle ore 9:30, sigaretta e attesa del resto del Plotone Falchi. Dopo le procedure di vestizione ed armamento, siamo pronti a scendere in campo. Sole caldo. Vento assente. Prendo l'AK, il glorioso e tanto desiderato Kalashnikov. La mia prima volta. Iniziamo in attacco: subito morti. Poi difesa, va un pò meglio. Capisco che se sto appostato in difesa, mimetizzato nella natura, riesco ad essere più utile al mio plotone. Viceversa, quando attacco sono ancora troppo scoperto. Ed ho serie difficoltà ad abituarmi a vedere attraverso il reticolato della maschera protettiva.
Dopo un paio d'ore, la mira è migliorata alquanto, in difesa mi accorgo di essere migliorato, mentre in attacco continuano i problemi. La compagna sovietica Tuzza mi dà molti consigli. Ora siamo scesi al fiume prosciugato: le pietre del letto danno parecchio fastidio. Ore 14:05, ci si accapa per il pranzo al sacco. Seduto all'ombra, ammiro la bellezza della natura circostante, i colori degli alberi, la forma della gola. Dopo pranzo, arriva il mio momento di gloria. Nascosto dietro uno scoglio, posto sull'interno della curva del fiume, e a circa 5 metri dallo sniper, riesco a colpire ben quattro nemici. Finalmente anche per me è arrivato il momento di qualche piccola soddisfazione!
Giunti in un punto inesplorato del fiume, dove i detriti chiudono il corso, decidiamo di ritornare alla base anche perchè siamo a un'ora e mezza dal tramonto. La ricognizione è alquanto faticosa per chi, come me, non è molto allenato. Il supporto di J-Mat diviene fondamentale in questo frangente, caratterizzato anche dalla necessità di idratarsi.
Raggiunto il campo base in meno di un'ora, ci allontaniamo dal campo con le autovetture.

venerdì 3 aprile 2009

Sniper



Essere soli,
nascosti tra le foglie,
ad osservare le mosse del nemico.
Attendere il momento giusto,
il piccolo errore,
la sottile dimenticanza,
l'attimo fuggente.
Caricare il colpo,
l'unico colpo,
e puntare dritto
con mano calma e rigida,
con occhio lucido,
senza fremiti,
senza variazioni impercettibili,
glaciale.

Un colpo, un morto.